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Saturday, August 12, 2006

STORIA AERONAUTICA


Ritrovati a Kabul i resti degli ultimi biplani Ro. 37, creduti estinti da 60 anni

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A chi ama la storia e, in questo caso, il volo e la storia dell’aviazione non capita spesso di imbattersi in una notizia così confortante come quella che segue. Sicuramente la Società di oggi è distratta e attratta da valori non sempre rivolti verso la conservazione della memoria. Dietro il ritrovamento dei resti di un famoso biplano del 1937 da parte di militari italiani, nientemeno che in Afghanistan, c’è tutto un mondo di emozioni che va oltre lo stesso valore storico dell’evento.


Dal periodico “AERONAUTICA” dell’Associazione d’Arma Aeronautica, numero di Marzo 2006

Una pattuglia del 132' Reggimento Artiglieria Corazzata "Arìete" in ricognizione alla periferia nord est di Kabul ha ritrovato le fusoliere di alcuni biplani da ricognizione IMAM Ro. 37 sinora creduti estinti. «Nonostante le condizioni dei velivoli, tale ritrovamento riveste una notevole importanza per la storia dell'Aeronautica visto che si tratterebbe degli unici esemplari esistenti al mondo. A darne notizia è stato lo stesso reggimento, che costituisce la struttura portante del contingente Italfor XII, in Afghanistan.

La pattuglia dell'Ariete ha così potuto convalidare le voci che da tempo circolavano sulla possibile presenza di resti degli aerei italiani esportati nel paese nel 1937. La segnalazione era stata portata a Kabul dal giornalista Giannandrea Gianni di AnalisiDifesa, sensibilizzato dal collega Gregory Alegi di Dedalonews. Così il capitano Massimo Leoni, portavoce di Italfor XII, il maresciallo Leonardo Di Sciascio e il caporalmaggiore scelto Giuseppe De Paolis hanno setacciato una vasta area ingombra di rottami attualmente usata dall'Afghan National Army (ANA) per le proprie esigenze addestrative.

Qui, muniti di alcune vecchie foto, i militari italiani hanno confrontato le immagini con le tonnellate di relitti finché non si sono imbattuti nei resti delle fusoliere di alcuni Ro.37, mescolati a quelle di elicotteri sovietici Mi‑24 Hind, monoplani Yak‑ 18, un biplano De Havilland Tiger Moth e persino alcuni Hawker Hind, i concorrenti inglesi del Ro.37. Per fortuna la pattuglia ha rinvenuto su alcuni relitti le scritte PIRELLI MILANO ancora perfettamente leggibili sui pur deteriorati pneumatici e le targhette di costruzione "AEROPLANI ROMEO NAPOLI”, confermando l'identificazione del materiale.

«I relitti non versano in buone condizioni e sono visibili soltanto le intelaiature in metallo con alcune tracce della telatura originale,» dicono gli scopritori. «Le ali sono seriamente danneggiate e mancano alcune parti della struttura portante. Per contro, in buone condizioni risultano essere i motori Piaggio PXR stellari a nove cilindri raffreddati ad aria. »

Per quanto le fusoliere siano incomplete, il ritrovamento dell'Ariete riporta in vita un velivolo scomparso da circa 60 anni. Pur essendo stato costruito in 621 esemplari per le squadriglie da osservazione aerea della Regia Aeronautica, nessun Ro. 37 è infatti conservato nei musei aeronautici ed era ritenuto estinto. E’ invece sopravvissuta l'azienda: sia pure dopo diverse trasformazioni, la IMAM esiste ed opera tuttora a Napoli e si chiama Alenia Aeronautica. « Un eventuale restauro sarebbe lungo e costoso ma non impossibile,» Ha detto Maurizio Longoni, presidente dell'Associazione Restauro Aeronautico che ha da poco completato la ricostruzione di due Fiat CR.42 partendo da relitti recuperati in Svezia nel 1994. 1 relitti hanno «valore prettamente storico dal momento che il costo della manodopera per un eventuale restauro e ripristino sarebbe sicuramente superiore di dieci volte a qualsiasi valore economico », ha detto Alegi all'ADN Kronos, ma potrebbe valere la pena perché «di tutta la vasta produzione della IMAM è rimasto solo un idrovolante Ro.43. Mettendo insieme i vari pezzi si potrebbe cercare di ricostruire un esemplare quasi intero ai fini di una futura esposizione in un museo. »

Tuesday, August 08, 2006

STORIA AERONAUTICA


Aerei famosi *** AVIA FL.3

(dal periodico AERONAUTICA di luglio 2006)

di Gregory Alegi


Il 28 settembre 1938 il Ministero dell'Aeronautica bandì un concorso per un aereo da scuola e piccolo turismo destinato alla RUNA. Sottolineando rusticità ed economia (30.000 lire al massimo senza motore, della potenza non superiore a 80 CV), le specifiche si attagliavano perfettamente all'L.3 (o FL.3), ideato da Francis Lombardi e progettato dagli ingg. Giacomo Mosso, Ugo Graneri e Pier Aldo Mortara.

L’aereo aveva fusoliera in traliccio di legno rivestita in tela, ala interamente in legno, un elementare carrello ammortizzato ad elastici. Il motore era il CNA DA da 60 CV a cilindri contrapposti. L'abitacolo era aperto sulle macchine militari e chiuso su quelle civili.

Il prototipo I‑ABJR con motore Praga 45 CV fu col­laudato nell'autunno 1938 dallo stesso Lombardi che, costituita con alcuni amici la ditta Avia ' ne lanciò la produzione per il mercato privato. La prima commessa
militare per 50 macchine giunse nel marzo 1939. Lom­bardi effettuò il primo volo con il D4 il 19 aprile 1939 in occasione della visita di Mussolini a Vercelli. Tra il giu­gno 1940 e l'aprile 1942 l'Aeronautica ricevette
335 L.3, costruiti in parte dall'Avia e in parte pro­dotti dall'Agusta), destina­ti nei piani dell'Ispettorato Scuole al­lo svolgimento delle pri­me 30 ore del corso di pilotaggio.

Nell'estate 1940 si prevedeva di assegnare gli L.3 alle scuola di Vibo Valentia, Perugia, Pescara, Fano, Jesi; nel 1941 l'aereo era anche a Siena e Aquino. Ma non fu compreso, dando luogo ad una crisi di rigetto: dei 322 esistenti al 1° febbraio 1942, ben 293 erano accantonati. Qualche L.3 andò al Reparto P, alle Direzioni Costruzioni per collegamento, al Nucleo Addestramento volo senza motore di Novara che, per simulare gli alianti ad elevato carico alare, ne rimosse l'elica. Non ebbero invece seguito i prototipi della variante idro e a decollo cortissimo, entrambi comparsi nel 1942 e collaudati da Nello Raimondo. Il primo fu ricavato montando due galleggianti all'I‑VENK, un normale L.3 di serie, mentre il secondo comportò l'applicazione di un'ala con flap tipo Junkers, alette Handley‑Page fisse e altre ai lati della cofanatura motore, nonché di un motore sperimentale in linea realizzato dall'ing, Graneri presso la Cansa. Con queste estese modifiche l'L.3C riusciva a superare un ostacolo di otto metri dopo soli 80 m. Di un ulteriore derivato, il bimotore L.4, fu approntato il solo simulacro.

Dopo l'armistizio circa 15 servirono nell'ANR, anche presso il Centro Volo a Vela incredibilmente organizzato da Mantelli: il piccolo L.3 trainava alianti Asiago e Canguro. Al Sud almeno tre operarono per collegamento con il Reparto Autonomo Volo del Comando Aeronautica della Sardegna e la SRA Caccia di Lecce.
A parte i circa 250 requisiti dalla Luftwaffe per le proprie scuole, che nell'aprile 1944 impiegavano 145 L.3, l'unico cliente estero fu la Croazia che il 20 febbraio 1943 ottenne gli ultimi dieci aerei dì serie. Non comportò invece alcuna esportazione l'addestramento di allievi piloti dell'aviazione dell'ancora inesistente stato d'Israele, brevettatisi più o meno clandestinamente su L.3 nel 1946‑47 presso la società privata Alica di Roma‑Urbe: tre di questi aerei furono poi acquistati dall'AMI nel 1952, mentre un altro fu ricostruito dall'RTU di Bresso.

Questo impiego preluse all'esplosione del fenomeno L.3 che, dapprima grazie a macchine recuperate avventurosamente e poi alla ripresa della produzione Avia, che la trasferì infine alla Meteor di Furio Lauri.
Robustissimo, parco nei consumi, docile ai comandi, l’FL.3 formò così migliaia di piloti di aero club fino agli anni Sessanta in parte tramite l’innesto di motori americani con maggiore intervallo tra le revisioni, scomparve nel decennio successivo di fronte alla progressiva diffusione di macchine interamente metalliche.
In anni recenti gli ultimi FL.3 furono talvolta rimossi dal registro e trasformati in ultraleggeri. Almeno uno vola tuttora presso l’Aero Club di Roma, mentre quattro esemplari statici sono conservati, ma non sempre esposti, dai musei italiani.
Dimensioni e caratteristiche del prototipo militare.
Apertura alare 9,85 m; lunghezza 6,37 m; altezza 1,76 m; superfice alare 14,35 mq; peso totale 525 Kg; a vuoto 290 Kg; velocità max 165 km/h; di crociera 142 km/h; salita a 2000 m in 18 minuti 50 sec; autonomia max 597 Km; tangenza 4.200 m.

IL PILOTA CAMIONISTA



MIGUEL ANGEL GARCIA - IL CAMIONISTA PILOTA ***
Una volo simulato sul traghetto Barcellona – Civitavecchia

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La foto mostra Miguel Angel Garcia, noto agli equipaggi della Grimaldi per la sua passione per il volo, ritratto sulla plancia di un traghetto insieme allo stato maggiore dell’unità. Anche se le navi e gli aerei navigano in elementi diviversi hanno in comune molti aspetti legati alla Navigazione strumentale.
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Lo incontrai per caso, il camionista – pilota Miguel Angel Garcia, sul traghetto della Grimaldi che salpa ogni giorno da Barcellona per Civitavecchia stracarico di autotreni.
Questa linea marittima fa parte di quella rete nuova internodale di trasporto chiamata AUTOSTRADA del MARE dove centinaia di bisonti della strada se ne stanno buoni nella pancia delle grandi navi senza appestare l’aria e provocare intasamenti del traffico.
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Era il periodo di fine febbraio e a bordo sembrava una festa. Io, mio figlio e una ventina di altri passeggeri con le macchine al seguito eravamo gli unici passeggeri non camionisti. Loro si conoscono perché spesso si incontrano nei frequenti viaggi, fraternizzano con l’equipaggio e giocano a carte gioiosamente come se si trovassero nella piazzetta del paese nativo. Sono catalani, ateniesi, lombardi, abruzzesi, tedeschi, insomma rappresentano l’elite del trasporto su gomma europeo. Loro sicuramente potrebbero dire qualcosa a chi ha detto NO allo statuto europeo. Ma questo è un altro discorso.

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Il viaggio è lungo, il mare è abbastanza mosso, ma lui, Miguel Angel Garcia, dopo la cena non va in cabina. Si siede solitario ad un angolo del salone e apre il suo computer portatile.
Si nota subito, dal suo aspetto, che è spagnolo. Incuriosito, ma anche per scambiare due parole nel mio secondo idioma, gli chiedo se ha qualche giochetto sul suo PC, così, per passare un po’ di tempo prima di andare a dormire.
Con la tipica disponibilità iberica accoglie con piacere la mia richiesta e inserisce un disco della Microsoft che è considerato un gioco ma…non lo è affatto.
- Di che città è lei ?- Mi chiede porgendomi la mano.
- Sono di Pescara -
- Bene Signore…ora ci faremo un bel viaggio in aereo …da Barcellona a Pescara…Io mi chiamo Migue Angel, come il vostro Michelangelo e sono un allievo pilota della scuola superiore di aviazione spagnola…anche se per vivere faccio il camionista….spero tra qualche anno di mettere da parte il denaro che mi serva per conquistare il brevetto di pilota di linea…è il sogno della mia vita…, anche se ho superato i quaranta…spero presto di realizzare il sogno della mia vita -
Non avevo mai visto, se non in qualche film. Un programma di simulazione del volo come quello usato da Miguel.
- Che aereo preferisce ?-
- Per me va bene tutto …-
- Bene, allora viaggeremo su un 737.-
Miguel imposta il volo scegliendo l’aeroporto di partenza, Barcellona e quello di arrivo, Pescara.
Sul monitor piatto appare la sagoma dell’aereo passeggero più popolare del mondo e noi entriamo virtualmente nella cabina di comando mentre con un clic il pilota accende i motori.
Il velivolo comincia a muoversi adagio verso la pista assegnataci via radio dalla torre di controllo, poi, dopo aver avuto l’OK dai controllori, comincia a muoversi acquistando sempre più velocità fino al momento del decollo. Miguel, dopo qualche attimo rientra il carrello e punta verso l’alto.
Giunto alla quota prestabilita (32.000 piedi) regola l’assetto dell’aereo, controlla l’orizzonte artificiale, i motori, l’altimetro, la velocità e quindi manovrando con la cloche vira a destra e si mette in rotta puntando su Pescara.
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Quello che si vede attraverso i vetri della cabina è la riproduzione esatta dell’ora mattutina e del tempo atmosferico sereno con qualche nuvolascelto dal pilota nel programmare il volo.
Considerando che il 737 per volare da Barcellona a Pescara impiegherebbe circa due ore, Miguel forza il programma ponendo il velivolo a 30 miglia da Pescara in modo da anticipare l’ora di arrivo.
Da 10.000 metri, sorvolando la Maiella vediamo dai finestrini le nostre città che si stanno svegliando; il simulatore ci dice che sono le 7 del mattino di una giornata di luglio. Il pilota si prepara ad imboccare il sentiero di atterraggio. Notiamo qualche nuvoletta innocua all’orizzonte verso la Croazia. Poi una dolce virata di 180° verso sinistra. La torre ci dice che possiamo procedere.
- Questo è il momento più bello e più emozionante del volo – sottolinea Miguel mentre manovra la cloche senza distogliere lo sguardo dal monitor del suo computer.
Io e mio figlio David, anche lui appassionato di aviazione, dismo affascinati. Lo scenario è irripetibile; stiamo navigando di notte nel mezzo del Mediterraneo su un traghetto della Grimaldi insieme ad un compagno occasionale di viaggio che fa il camionista e che “vola” su un 737 da Barcellona a Pescara. Ormai gli altri viaggiatori sono andati tutti a dormire e la nave balla con mare di traverso.
- Ecco, vede Sig. Romano, lì in fondo c’e la pista del “Liberi”, io ho tolto il pilota automatico e il GPS, voglio atterrare manualmente….il vostro è un magnifico aeroporto – Mentre parla Miguel tira giù una leva sulla destra del cruscotto e il carrello è fuori.
Ora bisogna equilibrare l’assetto con la velocità….bisogna che il 737 scenda dolce sulla pista….ecco i ....flaps ….anche un poco di potenza….siamo a soli tre miglia ….- Mi rendo conto che il camionista catalano è un vero pilota d’aereo. Tocchiamo il cemento della pista alla velocità giusta, con l’assetto perfetto. Poi i motori all’inverso, i freni, il rullaggio e il parcheggio, senza scossoni, senza tennennamenti.
Dietro di noi qualcuno si complimenta – Bravissimo, Miguel, come al solito – E’ il primo ufficiale di coperta. Conosce il camionista che viaggia spesso tra Barcellona e Civitavecchia portandosi dietro il suo PC e il suo sogno di diventare pilota di linea.


Cinquanta anni fa il primo volo del "Sagittario"




Pagine di storia *** SUL FILO DEI RICORDI *** Cinquanta anni fa il primo volo del "Sagittario"

Dal Periodico “AERONAUTICA”

Il pilota collaudatore del primo caccia a reazione tutto italiano, Costantino Ptrosellini, narra la sua indimenticabile esperienza in questo prezioso articolo pubblicato sul periodico AERONAUTICA di luglio a 50 anni dall’evento. Ringrazio l’Associazione A.A. e in modo particolare la Sez. di Pescara “Gabriele D’Annunzio” presieduta dal Col. Ris. Bartolomeo Di Pinto per la cortese collaborazione>

Dieci lustri
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di Costantino Petrosellini

Dicci lustri sono proprio cinquanta anni. Sono tanti se rapportati alla normale stima del tempo passato: ma non è così per chi visse allora una storia impossibile da dimenticare.

Esattamente nel 1956 prese il volo il primo aereo italiano a getto in grado di raggiungere e superare quel fatidico limite di velocità denominato il "muro del suono". E' una storia che va raccontata.

Nel 1954 ero presso il Centre d'Essais en Vol (Centro Sperimentale di volo) dell'aeronautica francese a Bretígny (Parigi), per frequentare il corso piloti collaudatori, della durata di un anno e molto impegnativo, che prevedeva fra l'altro anche voli col prototipo del caccia MD.454 Mystère 4 in grado di superare le velocità del suono.
Verso la fine del corso, in autunno, fui contattato da dirigenti dell'AERFER di Pomigliano d'Arco, che chiesero, su segnalazione dell'allora sottocapo di Stato Maggiore gen. Aldo Remondino, la mia disponibilità per il collaudo del velivolo "Sagittario 2" che stava nascendo in quella Ditta su progetto dell'ing. Sergio Stefanutti.

Accettai con entusiasmo, pur rendendomi ben conto del grave impegno, morale e professionale, al quale andavo incontro.
Il velivolo era l'ultimo stadio di una lunga serie di esperimenti, in particolare sull'ala a freccia fortemente pronunciata: era infatti progettata con un angolo al bordo di attacco di 45', se si tiene conto che l'aereo di punta allora in servizio da poco nell'USAF, FF‑86, disponeva del piano portante angolato di 37.

Per sperimentare la rispondenza dell'ala alle necessarie qualità di stabilità, forse critiche alle basse velocità, un addestratore SAI‑Ambrosini S.7 venne modificato, applicandovi un'ala in legno costruita sui disegni di quella prevista per il "Sagittario 2", e sperimentato in volo confermando le teorie di Stefanutti su tale
tipo di ala che costituiva un notevole progresso per l'epoca.
Successivamente, per altre prove a velocità maggiori, lo strano velivolo venne modificato sostituendo il motore Alfa 115 con un turboreattore Turbomeca "Marboré", di circa 400 kg di spinta.

L'aereo, denominato "Sagittario" (la precedente versione con motore alternativo era denominata "Freccia") diede risultati positivi venendo presentato alle autorità aeronautiche a Ciampino, nel 1953, dal collaudatore Guidantonio Ferrari.
A questo punto prese forma il progetto di un caccia leggero, interamente metallico, la cui prima idea risaliva al 1951, quando l'ing. Stefanutti era ancora direttore tecnico della SAI‑Ambrosini a Passignano sul Trasimeno.

L'Aeronautica Militare decise di affidarne la costruzione alla Ditta AEFER a Pomigliano d'Arco, ritenuta più idonea alle costruzioni metalliche, il cui Ufficio Tecnico iniziò la progettazione definitiva allo scopo di realizzare un caccia intercettore a basso costo ed alta semplicità di esercizio, ma con prestazioni adeguate al progresso dell'epoca. In particolare veniva chiesta: quota operativa oltre 12.000 metri, velocità orizzontale di circa 1100 km/h, manovrabilità assicurata di 3g alla quota dì tangenza, tempo di salita a 12.000 metri inferiore ai 10 minuti.

Terminata la progettazione definitiva iniziò la costruzione di due prototipi di volo più uno per le prove statiche.

Fu prescelto il motore RollsRoyce "Derwent" Mk.9 con spinta di 1630 kg a 14700 giri. L’armamento previsto iniziale era costituito da due cannoni Hispano‑Suiza da 30 mm, oltre eventuali carichi esterni.

Il carrello triciclo retrattile era a classico comando idraulico, così come i freni delle ruote ed i comandi di volo.
Lo Stato Maggiore AM emise le specifiche per le caratteristiche e prestazioni del velivolo tra le quali:
Intercettazione vicina: raggio d'azione 200 km, azione a medio raggio: 500 km; coefficiente di robustezza 12 (analoghi velivoli USA lo avevano a 7,33); carico utile 1000 kg; stabilità di tiro fino a 12000 metri; virate e richiamate sino a 5g.

Rientrato dal CEV di Bretigny, dove avevo esplorato i regimi transonico e supersonico col prototipo del Mystère, alla fine del 1954 mi presentai al gen. Remondino, che concordò con la mia richiesta di essere inviato al più presto presso all'AERFER per seguire sin dall'inizio la costruzione del prototipo, il primo di grande impegno tecnico.

Ed ai primi del 1955 venni pertanto trasferito alla 4' Aerobrigata a Capodichino, per essere sempre presente nel capannone della vicina Pomigliano dove era appena iniziata la costruzione del Sagittario 2' e dove passai intere giornate con i tecnici e le maestranze che procedevano alla costruzione, pezzo per pezzo, del velivolo, chiedendo e ottenendo varie modifiche e partecipando in prima persona alla progettazione e realizzazione del "cockpit" apportandovi l'esperienza acquisita sul Mystère.

Per il programma delle prove di volo, con l'ing. Meneghini ci recammo presso il CEV di Bretigny dove, con estrema generosità, ci prepararono uno studio per l'installazione degli strumenti registratori sul nostro velivolo, stabilirono la posizione dei sensori ed infine, per permetterci di verificare dal vivo quanto posto allo studio, ci concessero un Gloster Meteor Mk.7 biposto con il quale effettuammo due voli registrando il tutto per una successiva verifica a terra.
Ebbi anche la possibilità di fare un volo con il prototipo del Super Mystère, primo velivolo francese supersonico munito di post‑bruciatore, raggiungendo la velocità di Mach 1,06 in volo orizzontale.

Rientrati a Pomigliano, nell'autunno del 1955 eseguimmo le prove di resistenza allo sforzo dei vari elementi del velivolo ed altri vari test e, verso la fine dell'anno, il velivolo effettuò la prima prova di avviamento del motore. Seduto al posto di pilotaggio, ebbi modo di osservare l'indicazione degli strumenti del motore e di quelli dei vari impianti per ognuno dei quali avevo fatto installare, oltre ai normali indicatori, anche spie luminose con sensori in punti diversi degli impianti stessi.

Il 28 marzo 1956, ricorrenza del 33' anno della nascita dell'Aeronautica, il prototipo (MM560) iniziò i rullaggi a bassa velocità che presentarono alcune difficoltà, peraltro previste, per la risposta inadeguata di alcuni impianti.

Il 5 aprile, eliminati gli inconvenienti, eseguii una serie di rullaggi a velocità media, al massimo consentito dalla lunghezza della pista di Pomigliano, impiegando il resto del mese in altre prove a terra e per il completamento dell'impiantistica di bordo.

In seguito fu deciso che le prove di volo, per ovvie ragioni di sicurezza, non potevano avvenire a Capodichino stante la vicinanza dell'abitato e, pertanto, il l' maggio, l'aereo venne trasferito via terra, con un grosso pianale, a Pratica di Mare dove da tempo era stato distaccato un apposito team dell'Aerfer, ospitato presso l'hangar del Servizio Tecnico della 4 a Aerobrigata.

Qui giunto il Sagittario fu sollevato da una potente gru ma , mentre si stava operando per aprire il carrello per depositare l'aereo a terra, la gru scarrucolò di colpo ed il velivolo cadde urtando con la parte inferiore della fusoliera e la punta dell'ala sinistra.

Ricordo, come fosse oggi, l'espressione disperata di Stefanutti, che si mise desolatamente le mani nei capelli.

La stessa gru, ricontrollata, rísollevò poi da terra il velivolo, il carrello fu aperto consentendo di constatare i danni che consistevano in una ammaccatura del complesso di scarico del turboreattore ed un graffio all'estremità dell'ala.

Fu quindi deciso di iniziare al più presto i rullaggi, il primo dei quali avvenne il 5 maggio fra la gioia e la commozione di tutti noi.

Lo feci a velocità maggiore rispetto a quelli effettuati a Pomigliano, arrivando a sollevare il ruotino anteriore e confrontando sforzi e spostamenti di barra, manovre che ripetei più volte.

Il 9 maggio, altra serie di rullaggi ad alta velocità, con sollevamento del ruotino anteriore e misura dell'accelerazione longitudinale.

Il giorno successivo effettuai il primo "salto di pulce", staccando per breve tempo e percorso il velivolo da terra utilizzando poi per la prima volta il parafreno di coda. Lo stesso giorno, al terzo rullaggio, fu eseguito un breve volo a pochi metri da terra controllando efficienza dei comandi e stabilità.

L’ 11 maggio altra prova simile con forte vento al traverso e controllo dell'efficienza dei comandi e quindi, il 19 successivo, un breve ma vero e proprio volo rettilineo utilizzando circa 2000 metri di pista seguito da altri quattro lanci con esito positivo.

Il 13 maggio raggiunsi, in basso e breve volo livellato, la velocità di 160 nodi, con verifica del controllo laterale e longitudinale.

Il 16 e il 17, ancora due prove similari, aumentando progressivamente velocità e tempo di volo utilizzando l'intera lunghezza della pista.

Dopo un accurato controllo di tutti gli impianti e una generale revisione strutturale, il mattino del 18 maggio 1956 tutto risultava in ordine per l'esecuzione del primo volo.
Avevamo deciso di effettuare il primo volo, che costituiva un grosso impegno morale, senza dare troppa pubblicità all'evento... e infatti, qualche ora prima dell'ora fissata per il decollo, il piazzale dell'hangar era pieno di gente. E che gente: erano
presenti il capo ed il sottocapo di SM generali Raffaelli e Remondino, tanti ufficiali dello SMA e della Direzione delle Costruzioni, il direttore generale dell'AERFER attorniato da dirigenti e tecnici di Pomigliano e via dicendo. Meneghini ed io ci guardammo desolati, ma... dovemmo accettare "obtorto collo" la situazione.

Feci un accurato controllo esterno, salii a bordo e controllai minuziosamente tutti gli impianti e le famose lampadine d'allarme progettate in modo da spegnersi quando ogni impianto, a partire dal minimo motore, fosse entrato a regime.

Il motore si avviò regolarmente ed iniziai il rullaggio verso la testata della pista 13. Chiesi l'autorizzazione alla Torre per il “line‑up"; mi fermai così allineato al centro pista, pronto al decollo. La Torre mi diede l'autorizzazione, con una voce che tradiva la commozione: era la nascita del primo caccia italiano moderno.

Con i freni bloccati portai avanti la manetta del motore, osservando con attenzione gli strumenti di tutti gli impianti e le relative lampadine di allarme. Ad una ad una esse si spensero tranne una: quella corrispondente alla pressione carburante, posta accanto al relativo manometro. Riportai il motore al minimo e verificai l'inserimento della pompa elettrica. Tutte le lampade si riaccesero e si spensero regolarmente quando riportai in avanti la manetta, tranne quella della pressione del carburante posta accanto al manometro che però indicava pressione regolare. Feci ancora una prova che fu inutile: la lampadina restava ostinatamente accesa. Con molta malinconia rientrai al piazzale dell'hangar.

Tutti si fecero intorno al velivolo dove, col tettuccio aperto, ero rimasto seduto.
Ognuno diceva la sua, ma quasi tutti concordavano che si potesse andare in volo visto che, in fondo, la pressione carburante indicata dal relativo manometro risultava regolare. Cercai di spiegare che il doppio controllo (indicatore e lampadina) era stato voluto apposta per avere la certezza assoluta dei vari impianti e che pertanto ritenevo per lo meno imprudente andare in volo in mancanza, appunto, di un doppio controllo. Meneghini, pur rattristato era d'accordo con me, ma quello che mi riempì di orgoglio fu l'amichevole pacca sulla spalla del gen. Raffaelli che mi disse: «Ha ragione lei: faccia come ha deciso». Per cui tutti i presenti si allontanarono malinconicamente.

Lavorammo tutta la giornata per sostituire il sensore e al tramonto rimettemmo in moto il motore: questa volta tutte le lampadine si spensero regolarmente, per una, due, tre prove. Finalmente eravamo pronti.
Il mattino seguente, 19 maggio 1956, alle prime luci del giorno, tutto l'aeroporto, tranne i servizi essenziali ed il distaccamento AERFER, era nelle braccia di Morfeo. Il cielo era limpido, il vento calmo .Misi in moto, rullai alla testata pista e mi allineai. Chiesi e ottenni l'autorizzazione al decollo.
Portai avanti la manetta: tutti gli strumenti diedero indicazioni regolari e le lampadine spia ad una ad una si spensero. Passai alla spinta massima di decollo e rilasciai i freni. L'accelerazione fu franca e regolare. 1 giri del motore erano stabili a 14550 RPM e il distacco avvenne a 120 kts per un peso totale di 2900 kg, con i flaps a 15' e il piano orizzontale di coda (ancora non servocomandato) a ‑2'. Controllo direzionale perfetto. Subito dopo il distacco l'aereo ebbe una leggera tendenza ad inclinarsi a sinistra, ma facilmente controllabile. Salii diritto fino a 1000 ft, riducendo il motore a 12500 RPM, a velocità indicata di 190 kts. Il volo venne stabilizzato in configurazione fissa (flaps 15', carrello fuori) a velocità indicata 200 kts. Effettuai cosi un giro campo, osservando e comunicando per radio tutti i parametri interessanti (annotati anche sul cosciale) e finalmente mi allineai per l'avvicinamento finale. Velocità iniziale 190 kts, motore 10000 RPM. Plané fra i 180 e i 170 kts, reattore a 8000‑7000 RPM. Imboccai la pista a 170 kts ed eseguii l'atterraggio su tre punti. La distanza di arresto fu di circa 1800 metri. Udii in cuffia un caloroso "evviva!" della Torre di Controllo. Presi a rullare sul raccordo e quando imboccai la bretella per rientrare all'hangar vidi una piccola folla festante.

Tutti i piloti e gli altri ufficiali che alloggiavano in aeroporto si erano scaraventati giù dal letto. Mi fermai sul piazzale dell'hangar, fermai il motore, aprii il tettuccio e, ancora col casco indossato, udii chiaramente le grida di gioia di tutti i presenti. L’ing. Meneghini salì fino al posto di pilotaggio e mi batté amichevolmente una mano sulla spalla.

Una volta sceso a terra, Stefanutti mi abbracciò commosso ed infine fui letteralmente sollevato da terra da tutti gli amici della 4' Aerobrigata e, sulle spalle del medico di Stormo ten. Valletta, raggiunsi con l'allegra compagnia vociante il Circolo Ufficiali dove, più tardi, arrivarono le l'autorità del giorno prima per stappare il classico champagne.

Non potrò mai dimenticare la commozione di quei momenti: finalmente l'Italia aveva un caccia moderno degno di questo nome, frutto dell'industria nazionale.

Il secondo volo ebbe luogo due giorni dopo, sempre in configurazione fissa con carrello esteso, raggiungendo questa volta la velocità di 230 kts, atterrando a 135 kts e usando il paracadute di coda.

Il 2 giugno effettuai la prima retrazione del carrello ed aumentai la velocità fino a 300 kts aprendo successivamente gli aerofreni, con controllo degli sforzi longitudinali.
Il 4 giugno altra prova di volo con virate accelerate, cambi di configurazione e carichi fino a 2g.
Il 5 giugno aumentai la velocità indicata fino a 340 nodi con virate fino a 3g.
Il 6 giugno, salita a 10000 ft, virate accelerate fino a oltre 3g, velocità 340 nodi.
Il 7 giugno, prova di estrazione totale degli aerofreni con osservazione dei leggeri battimenti in coda. Virate accelerate fino a 340 kts e 3,2g.
Il 18 giugno la prova particolarmente impegnativa comprendente salita fino a 25000 ft. virate accelerate fino a 4g, velocità indicata oltre 360 kts.
Il 19 ed il 20 giugno effettuai le prove per la manifestazione aerea di Fiumicino "MAF 56".
Il 21 giugno salii in quota fino a 30.000 ft con inizio della ricerca di Mach.
Il 22 giugno, ancora una prova della manifestazione aerea di Fiumicino, che ebbe luogo il 24 giugno con la partecipazione di tutti i Reparti di Volo dell'AM.


In questa occasione il Sagittario 2' fece le sua prima uscita pubblica: la presentazione, molto limitata nel tempo per le esigenze della manifestazione, si svolse con un passaggio a bassissima quota ed alta velocità (circa 550 kts), provenendo dal retro della tribuna presidenziale, seguito da una virata "Sclineider" di 360' sul piazzale di fronte alla tribuna, con un raggio particolarmente stretto (intorno ai 5 "g") e da una virata "in piedi" fino a circa 10.000 ft.
La manovra impressionò notevolmente al punto tale che il giorno successivo quasi tutti gli Addetti aeronautici stranieri vennero a Pratica di Mare per vedere il velivolo ed assistere ad una esibizione, che acquistò un carattere meno spettacolare della precedente, ma assai più tecnicamente corretto, particolarmente per le doti di bassa velocità del velivolo e le particolari prestazioni di decollo e atterraggio.

Dopo numerosi altri voli di prova, il 20 luglio 1956, una brutta piantata di motore, mi costrinse ad atterrare sulla pista in costruzione di Fiumicino con alcuni danni al velivolo.

E finisce qui la mia storia con il Sagittario 2' perché poco tempo dopo, mentre l'aereo veniva riparato e ci giungeva l'amara notizia della cancellazione del programma "Sagittario" per motivi politici e industriali, venni assunto dall'Alitalia. L'incarico di proseguire le prove dell'aereo fu affidato al ten. col. pil. collaudatore Giovanni Franchini che il 4 dicembre 1956, con una picchiata verticale da oltre 40.000 ft sull'aeroporto di Pratica di Mare, superò ufficialmente il "muro del suono", primo pilota italiano ad averlo fatto con un velivolo di progettazione e costruzione nazionale.

Spesso osservo il modellino del "Sagittario 2" posto sulla mia scrivania: chiudo gli occhi e posso così rivivere quel tempo indimenticabile.
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