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Thursday, June 12, 2008

DECOLLO LUUUUNGO







Primo volo senza istruttore (dal periodico AERONAUTICA dll'Ass. A.A.
di Angiolo Gabellini

Quel mattino di settembre del 1956 ero in programma per l'ottava missione: partenze e atterraggi e, se tutto andava come doveva, DECOLLO!
Ero alla Scuola di Lecce allievo del terzo periodo, come si diceva allora, e il G.59 era un aereo sul quale mi trovavo benino, molto meglio che sul T‑6 che avevo lasciato da poco.
Così, con il paracadute portato con noncuranza sulla spalla sinistra, "tipopilotascafato", stavo andando in linea di volo, ascoltando con attenzione le ultime raccomandazioni dell'istruttore. Ero sicuro, infatti, che, di lì a poco, me ne sarei andato da solo, collezionando il mio quarto passaggio. E, in seguito, lo svolgimento della missione sembrava darmi ragione in pieno.
Decolli, giri campo, riattaccate e "touch and go" si alternavano senza che l'istruttore parlasse o intervenisse sui comandi. Così, quando mi disse di fare "full stop", pensai proprio di avercela fatta. In effetti, ero sicuro di aver volato proprio benino.
Parcheggiato l'aereo, aspettai che l'istruttore scendesse, legasse le bretelle sul suo seggiolino e mi dicesse la sospirata frase: «Vai e... in bocca al lupo !» Ma non fu così: mi guardò e mi disse di scendere perché quel giorno non mi faceva decollare. Ci rimasi veramente male e ne chiesi il perché. «Niente di particolare ‑ mi disse ‑ domani torniamo su, fiacciamo ancora un paio di partenze e atterraggi e vediamo».
Per l'intera giornata fui piuttosto teso perché nopn riuscivo a spiegarmi quel comportamento.
Il mattino seguente, pur bloccato da un sacco di dubbi riuscii lo stesso a fare un’ottima missione, forse meglio della precedente. Il risultato, però, fu tragicamente lo stesso: niente decollo e niente spiegazioni particolari. Ci avremmo riprovato il giorno dopo.
E’ inutile dire che ero entrato in piena crisi e paventavo persino lo spauracchio dell’esonero dal volo. Così il giorno dopo, salii a bordo quasi fregandomene e pronto al peggio.
Decollai piuttosto giù di morale, pensando a quanto mi sarebbe piaciuto andarmene da solo su quella macchina che mi ricordava gli aerei della seconda guerra mondiale.
Con quello stato d’animo decollai, feci un circuito più o menmo corretto e mi portai al finale. Torre Lecce mi autorizzò, avvertendomi però di tenermi pronto ad una riattaccata perché in pista si stava allineando un T-6 con un solista al primo decollo.
Decisi che, in ogni modo, avrei atterrato e mi misi a seguire il laborioso allineamento del T-6, deconcentrandomi leggermente. Avevo già tutta la biancheria fuori e non mi accoirsi che ero corto, in perdita di velocità e troppo basso per riattaccare. Così toccai terra, stallando, prima dell'inizio pista, per fortuna sulla stri­scia di sicurezza. L'aereo sollevò lentamente il muso e ab­bassò di colpo l'ala destra fino a sfiorare il terreno. Se avessi dato motore, come da procedura standard, l'effetto coppia dell'elica avrebbe prolungato la rotazione e schian­tato a terra il G.59. Allora, d'istinto, detti tutto piede sini­stro e cloche in avanti. Appena poggiate le ruote per terra, sui due punti e con la coda piuttosto alta, retrassi i flaps e detti tutto motore, ridecollando e scartando a destra per non investire il T‑6 che, più lento, aveva appena lasciato la pista. Se ci ripenso, rivedo ancora l'istruttore alla biga ca­tapultarsi fuori di colpo e sdraiarsi per terra! Convinto così di essermi giocato le mie ultime possibi­lità, se mai ne avessi avute ancora, feci mezzo giro campo, atterrai e spensi il motore. Listruttore, che in tutto quel fardango non aveva aperto bocca e non aveva toccato i coman­di, mi guardò serio e mi disse di rimettere in moto: mi faceva decollare. «Nonostante quello che ho conibinato?» gli chiesi, e lui «Proprio per quello. In ogni modo, ora vai tran­quillo e dopo ne parliamo. In bocca al lupo! ».
Di colpo, rimisi in moto, rul­lai e mi allineai. Feci gli ultimi controlli pre‑decollo, strinsi bene le bretelle (dovevo volare da so­ lo!), spinsi a fondo il pedale sini­stro e detti tutta manetta, scatenando i 1420 CV del motore. Appena la coda si alleggerì resti­tuii un po' di cloche, non tanta
per non toccare terra con l’estremità dell'elica. Man mano che la velocità aumentava tolsi il piede sinistro per centrare il timone di direzione e, alla velocità prevista , tirai tirai leggermente la cloche e mi trovai per aria.
Ce l'avevo fatta, stavo volando da solo ancora una volta, anche se con l'esperienza del quarto passaggio ma con la stessa emozione di un principiante.
In volo dimenticai tutte le mie ansie e mi scatenai in un tutt'uno con la macchina.
Dopo l'atterraggio, questa volta liscio come l'olio, e le consuete felicitazioni, chiesi all'istruttore perché mi avesse fatto decollare solo dopo quel mezzo disastro. La spiegazione fu, a dir poco, disarmante.
«Prima ti era andato tutto troppo bene, e io volevo vedere se e come saresti stato in grado di cavartela qualora ti fossi trovato in una situazione critica, visto che il G.59, come ben sai, in atterraggio è piuttosto da naso. E tu, con quel casino che hai combinato, e risolto, mi hai tolto ogni dubbio».
Mi c'erano voluti tre giorni di patimenti per decollare su quella meravigliosa macchina, ma ne valeva la pena; e meno male che il solito Santo degli sprovveduti anche questa volta ci aveva messo una pezza!







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