Frammenti di storia
*** Quella sera del 12 settembre 1943 *Ricordo di un allievo Ufficiale pilota
Il dramma dell’8 settembre 1943 vissuto da milioni di italiani visto dal giovane All. Uff. Pil. Gaetano Di Modica in servizio presso l’aeroporto di Falconara
L’articolo è tratto dal periodico “AERONAUTICA” dell’Ass. Arma Aeronautica– N.4 – 2006
L'Autore dell’articolo è il secondo in piedi da sinistra
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di Gaetano Di Modica
Aeroporto di Falconara Marittima. Un gruppo di una quindicina di allievi ufficiali piloti vi erano stati trasferiti il 7 settembre da Reggio Emilia per completare l'ultima fase dei corso: il volo senza visibilità. Allora si faceva sul Saiman 202: il posto dell'allievo era schermato con tendine in modo che non potesse veder fuori. Di fianco l'istruttore, che invece ci vedeva, e che trasmetteva verbalmente all'infelice allievo le disposizioni per condurre la macchina in base ai segnali degli strumenti (che allora fortunatamente erano pochi ed essenziali). E così dal mio stralcio voli, fortunosamente salvato, risulta, in data 8 settembre 1943: aeroporto di Falconara M. ‑ Saiman 202 ‑ decollo 9.00, atterraggio 9.45 ‑ 45' V.S.V. Istruttore Mar. Pil. Desti.
Fu l'ultimo volo gentilmente offerto dal Regio Governo al nominato all. uff. pil. Di Modica (una rabbia! era la prima volta che volavo sul mare e manco lo potevo vedere! Riuscii a scostare un po' la tendina. Il maresciallo fece finta di non accorgersene!). La sera andammo in libera uscita a Falconara. C'era un gran pasticcio di gente che strillava, correva, non si capiva bene cosa diavolo fosse successo. Ce lo spiegarono, sentimmo il proclama di Badoglio, rientrammo piuttosto frastornati in aeroporto. Fu una notte agitata. Al mattino ci trovammo con i nostri istruttori alla ricerca di qualcuno che ci dicesse qualche cosa. Verso le 10 cominciarono ad arrivare degli aeroplani, un po' di tutti i generi e da tutte le parti. C'erano quelli che scappavano dal Nord per evitare i tedeschi (da un MC 205, da Campoformido, credo, scese un tenente in tuta di volo sul pigiama (era partito piuttosto in fretta) seduto sul suo attendente, anche lui scappava, poveraccio, era di Ancona).
C'erano quelli che nel dubbio scappavano dal Sud. Falconara era giusto a metà strada e andava bene. Arrivarono anche un CR.42 e un Br.20 da Torino, che scappavano non so da cosa, ma che arrivarono lì anche loro con poca benzina. E noi allievi, con i nostri istruttori e con qualche aviere rimasto, non sapendo dove e come scappare, eravamo lì a dare una mano per decentrare gli aerei, aiutarli a parcheggiare. Arrivò anche un alto ufficiale, mi pare con un SIAI, che arrivava da Zara e aveva già visto le sue. Passò il 9, passò il 10 e l’l l. Non capivamo niente.
Notizie confuse. Soldati sbandati con delle storie drammatiche, ai quali davamo asilo. Decidemmo di stare lì. (il cuoco, che non sapeva dove andare, era rimasto, e ci faceva da mangiare bene!).
Davamo una mano a quel gruppo di ufficiali anche loro in attesa non si sapeva bene di cosa. Facevamo progetti uno più insensato dell'altro. Uno di noi, veneto, prese una decisione. Decollò con uno dei nostri Saiman, tanto nessuno diceva niente. Poveraccio, ho saputo dopo che riuscì ad arrivare a casa sua, ma, facendo un passaggio basso, urtò contro qualcosa e morì.
Arrivò il 12 settembre. Era pomeriggio inoltrato. Un Junker 52 fece un paio di giri sul campo che avevamo liberato da tutti gli aerei arrivati. Scese un ufficiale che parlava italiano. Chiese di incontrarsi con l'ufficiale più elevato in grado che, se ben ricordo, era quel colonnello che era arrivato da Zara. Gli disse che aveva l'ordine di occupare l'aeroporto e che in caso di resistenza una colonna armata che era verso Jesi sarebbe intervenuta. Il colonnello che, poveretto anche lui, non aveva ordini e non sapeva cosa fare, chiese che fosse concesso ai militari presenti un qualche lasciapassare per tornarsene a casa. Il tedesco ci diede un foglietto con su scritto quanto dovevamo riportare sulla nostra licenza.
Preparammo il tutto. Annottava. Andammo in due alla Palazzina ufficiali a portare il plico delle licenze che avevamo preparato. Il tedesco ci mise la sua firma. Il colonnello la sua. (L'ho ancora quella licenza e ne allego una fotocopia!). Ero sull'attenti, il colonnello mi restituì le licenze firmate. Ero frastornato. Finire così dopo una decina di mesi di corso. Non mi decidevo ad andarmene: chiesi al colonnello "E adesso?" Mi guardò, mi abbracciò, mi disse battendomi la mano sulla spalla: "Adesso su, vai a casa, chissà che alla fine di tutto non ci si riveda".
Non ricordo come si chiamasse, quel colonnello. Non l'ho mai più rivisto.
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licenza che ha permesso a Gaetano Di Modica di tornare a casa
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